viernes, 15 de mayo de 2009

San Pedro

Ciao ragazzi!

Vi scrivo in merito ad un articolo pubblicato da Repubblica lo scorso 24 di aprile di cui riporto il link della pagina web:
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/carcere-bolivia/carcere-bolivia/carcere-bolivia.html
e rispetto questo articolo mi piacerebbe riportare, vista che si è presentata l’occasione, anche la mia esperienza di volontaria, magari vissuta da un aspetto meno scenico e più umano.

Come emerge dall’articolo pubblicato da Repubblica, il San Pedro è una realtà penitenziaria ben al di fuori delle regole. È un carcere antico, costruito nel 1826 che si trova al centro della città di La Paz. Un altissimo muro circonda l’istituto penitenziario, all’interno del quale vivono i reclusi. La struttura, oltre ad essere antica, è disastrosamente fatiscente ed inadeguata ad ospitare una popolazione che negli ultimi anni è aumentata spropositatamente.
L’assenza di un controllo interno da parte della polizia, la corruzione, la legge che il più forte o ricco vince sul più debole, il traffico di droga all’interno delle mura, il San Pedro tour (viaggio turistico dietro le sbarre), la promiscuità tra detenuti, donne e figli di detenuti che li vivono, la prostituzione sono tutti elementi che sicuramente caratterizzano questo carcere e lo fanno apparire a detta del giornalista “il carcere più pazzo del mondo”; un’attrazione turistica per i viaggiatori che vengono a La Paz, con tanto di macchine fotografiche per immortalare la disperazione e il dramma di questi detenuti che per 4 soldi si danno come bestie da zoo agli obiettivi di questi turisti e ora pare si sia scomodato persino Brad Pitt che ha messo in cantiere per l’anno prossimo un film sul San Pedro.
Bene, mi sembra che con il porre in rilievo queste caratteristiche il giornalista di Repubblica abbia centrato il suo obiettivo, ossia stupire, impressionare e destare quella curiosità morbosa che poi pare faccia notizia e spargere la voce.
Da parte mia, che dallo scorso novembre passo le mie giornate al San Pedro e posso azzardare a dire che conosco questa realtà abbastanza bene, trovo che si potrebbe sprecare qualche parola in più, soprattutto verso i reclusi, di cui nell’articolo nemmeno si parla, i quali credo siano i veri protagonisti di questo luogo. Mi chiedo infatti che posto vogliamo dare al prigioniero? Cosa ne è della sua persona, della sua dignità, del suo dramma personale? Perché non vogliamo parlare anche di questo aspetto? Forse che la solitudine, la depressione, la privata libertà, la sopravvivenza di un essere umano al giorno d’oggi è meno importante o fa meno notizia rispetto al fatto che qui la coca per esempio costi meno che sulla piazza??

Il mio lavoro come volontaria in questo carcere è iniziato quasi per caso, grazie ad una bella amicizia stretta con Padre Filippo Clementi, cappellano penitenziario del carcere di San Pedro, un trentino fuori dalle regole che si dedica da molti anni a los esclavos de la carcel, che un giorno mi ha fatto conoscere questa realtà. Per me è stato impossibile non affezionarmi a questo luogo che, per quante contraddizioni ed elementi fuori dalle regole possa avere, mi sta insegnando tanto e mi ha fatto riflettere su pregiudizi e convinzioni che davo per certe e scontate fino a prima della mia partenza, che mi ha obbligato a mettermi in gioco e resa felice di stare a disposizione del prossimo, qualunque esso sia.
Le problematiche dei prigionieri sono svariate, e peggiorano se si considera il grado di libertà di cui godono i detenuti all’interno delle mura, che permette che assassini stiano a contatto e comunichino con narcotrafficanti, ladri ecc.. si va quindi da problemi di alcolismo e consumo di droga, il più comune e evidente appena si varca il portone del carcere, a drammi marcatamente psicologici come il senso di abbandono, di solitudine e di depressione che non raramente vengono espressi con ideazioni suicidi arie. In particolare vorrei però mettere in risalto la realtà drammatica dei bambini del San Pedro, che sono circa 250 dai 0 ai 15 anni e che vivono con i loro padri all’interno del carcere e ai quali è dedicato principalmente il mio servizio. Può sembrare assurdo, ma la presenza dei bambini all’interno del carcere porta con sé degli aspetti positivi: innanzitutto spesso sono proprio i bambini che fanno in modo di mantenere i legami con la famiglia all’esterno, contribuendo ad un possibile ricongiungimento del detenuto con la compagna o con il nucleo familiare; poi essi stessi rappresentano uno stimolo per i loro padri, che devono attivarsi nella ricerca di un lavoro all’interno della struttura carceraria, per poter dare ai figli qualcosa da mangiare e dei vestiti;come ultimo i bambini “umanizzano” il carcere, in quanto la loro presenza stimola un atteggiamento di cura e di attenzione verso il più debole, che fa dei detenuti non solo dei “criminali” ma degli esseri umani che riscoprono la loro paternità e la mettono in pratica.
In generale godono di molta libertà: a parte la perquisizione in entrata e in uscita, non sono soggetti ad alcun controllo, escono e rientrano come e quando vogliono, possono girare liberamente per il carcere.
Non essendo soggetti a particolari controlli, i bambini sono spesso usati come “corrieri” (dall’esterno all’interno e viceversa) di notizie, droga, denaro e quant’altro sia richiesto dal proprio genitore o da altri detenuti, in cambio di denaro, favori o beni di prima necessità. La situazione di questi bambini è pertanto molto grave: corrono rischi nel loro servizio di corrieri, a volte sono oggetto di gravi maltrattamenti, abusi fisici e psicologici, sia da parte del genitore che degli altri detenuti e non è infrequente che vengono abusati sessualmente. La polizia, ovviamente, non essendo presente all’interno del carcere, non può controllare che ciò non avvenga ed interviene solo quando tali fatti vengono denunciati. Molti di questi bambini sono abbandonati a se stessi, non sempre infatti hanno la fortuna di vivere accanto alla loro mamma all’interno del carcere, (molte donne abbandonano i mariti appena dopo la sentenza e scelgono di vivere al di fuori del penale magari con un nuovo compagno e si dimenticano dei figli). Questo si esprime nei bambini, che seguo personalmente, in una tremenda solitudine, in una silenziosa ma costante ricerca di affetto, di coccole e di abbracci . Manca in essi quasi totalmente il senso di autostima, hanno paura ad esprimersi, si sentono emarginati dagli altri ragazzini del quartiere e nelle scuole sono oggetto di insulti e discriminazioni. A volte magari alcuni a scuola proprio non ci vanno perché non hanno la cartella, o le scarpe o i soldi per prendersi l’uniforme e dei quaderni. Il loro modo di esprimersi è ben diverso dai ragazzini della loro età, hanno atteggiamenti violenti, da grandi, esperienze devastanti che racchiudono in piccoli corpi. Sanno attaccarti, fare a pugni, vengono picchiati dai più grandi o dagli stessi genitori, ma sanno sempre rialzarsi senza versare lacrime perché dimostrare debolezza in questo ambiente non va bene. Però ancora, nonostante tutto, sanno stupirsi, emozionarsi di fronte un giocattolo nuovo, un disegno, un cartone di Walt Disney, una carezza e in quel momento ho come l’impressione che si ricordano di essere bambini e si godono la loro rubata infanzia.
Con il fine di evitare il più possibile il contatto bambino-detenuto e per cercare di ricreare all’interno del carcere uno spazio protetto, dedicato solo ed esclusivamente al bambino, Padre Filippo Clementi, decise nel 2002 di aprire un centro di attività ludiche, educative e di laboratorio, nel quale si potesse ricreare un momento di incontro e di interazione sereno, e diverso dalla tragica routine. La fondazione di questo Centro Educativo, “Il Kinder” è stato un grande passo, una innovazione e assolutamente il primo esempio in Bolivia di una cura educativa indirizzata verso la popolazione infantile residente all’interno di un carcere. Presso il Kinder proponiamo ogni giorno differenti attività ludiche (giochi di gruppo, giochi didattici, ecc.) e di laboratorio (pittura, lavorazione di creta, pasta di sale, utilizzo di materiale riciclabile ecc.), uscite collettive in particolari occasioni, si organizzano spettacoli per bambini (con l’ingaggio di clowns, giocolieri o prestigiatori durante le festività) ed inoltre viene distribuita quotidianamente una sostanziosa merenda (visto che i bambini, come i loro padri, hanno diritto ad un solo pasto al giorno). Oltre all’importanza sul piano educativo che il Centro sicuramente riveste, la presenza costante dei volontari e del personale responsabile, rappresenta per i bambini una presenza che da’ loro calore umano e quella vicinanza emotiva che li fa sentire accettati, amati, oggetto di quell’attenzione affettuosa alla quale hanno diritto.
Questa pagina, scritta in maniera molto informale, forse non racconta una storia degna dell’interesse di un produttore del calibro di Brad Pitt o di un giornalista a caccia dello scoop dell’ultimo momento, forse infatti non è abbastanza schoccante, tuttavia è la mia esperienza di volontaria, in una realtà che esiste, che tocco con mano ogni giorno e che mi piacerebbe trasmettere a chi ha la curiosità di conoscere e voglia di dare voce a quella parte di umanità che è immersa nell’ingiustizia, nella solitudine, nell’indifferenza. Penso quindi e mi scuso se posso sembrare polemica che invece di focalizzare l’attenzione su quelle caratteristiche che fanno del San Pedro “il carcere più pazzo del mondo”, si potrebbe far conoscere anche l’altra faccia della medaglia, quelle storie di ordinaria ingiustizia alle quali forse potremmo cercare di approcciarci in punta dei piedi, senza giudicare, senza far notizia, accontentandoci di ascoltare, osservare e aiutare queste persone a sentirsi vive, amate e non dimenticate dalla società.

Vera

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