viernes, 15 de mayo de 2009

San Pedro

Ciao ragazzi!

Vi scrivo in merito ad un articolo pubblicato da Repubblica lo scorso 24 di aprile di cui riporto il link della pagina web:
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/esteri/carcere-bolivia/carcere-bolivia/carcere-bolivia.html
e rispetto questo articolo mi piacerebbe riportare, vista che si è presentata l’occasione, anche la mia esperienza di volontaria, magari vissuta da un aspetto meno scenico e più umano.

Come emerge dall’articolo pubblicato da Repubblica, il San Pedro è una realtà penitenziaria ben al di fuori delle regole. È un carcere antico, costruito nel 1826 che si trova al centro della città di La Paz. Un altissimo muro circonda l’istituto penitenziario, all’interno del quale vivono i reclusi. La struttura, oltre ad essere antica, è disastrosamente fatiscente ed inadeguata ad ospitare una popolazione che negli ultimi anni è aumentata spropositatamente.
L’assenza di un controllo interno da parte della polizia, la corruzione, la legge che il più forte o ricco vince sul più debole, il traffico di droga all’interno delle mura, il San Pedro tour (viaggio turistico dietro le sbarre), la promiscuità tra detenuti, donne e figli di detenuti che li vivono, la prostituzione sono tutti elementi che sicuramente caratterizzano questo carcere e lo fanno apparire a detta del giornalista “il carcere più pazzo del mondo”; un’attrazione turistica per i viaggiatori che vengono a La Paz, con tanto di macchine fotografiche per immortalare la disperazione e il dramma di questi detenuti che per 4 soldi si danno come bestie da zoo agli obiettivi di questi turisti e ora pare si sia scomodato persino Brad Pitt che ha messo in cantiere per l’anno prossimo un film sul San Pedro.
Bene, mi sembra che con il porre in rilievo queste caratteristiche il giornalista di Repubblica abbia centrato il suo obiettivo, ossia stupire, impressionare e destare quella curiosità morbosa che poi pare faccia notizia e spargere la voce.
Da parte mia, che dallo scorso novembre passo le mie giornate al San Pedro e posso azzardare a dire che conosco questa realtà abbastanza bene, trovo che si potrebbe sprecare qualche parola in più, soprattutto verso i reclusi, di cui nell’articolo nemmeno si parla, i quali credo siano i veri protagonisti di questo luogo. Mi chiedo infatti che posto vogliamo dare al prigioniero? Cosa ne è della sua persona, della sua dignità, del suo dramma personale? Perché non vogliamo parlare anche di questo aspetto? Forse che la solitudine, la depressione, la privata libertà, la sopravvivenza di un essere umano al giorno d’oggi è meno importante o fa meno notizia rispetto al fatto che qui la coca per esempio costi meno che sulla piazza??

Il mio lavoro come volontaria in questo carcere è iniziato quasi per caso, grazie ad una bella amicizia stretta con Padre Filippo Clementi, cappellano penitenziario del carcere di San Pedro, un trentino fuori dalle regole che si dedica da molti anni a los esclavos de la carcel, che un giorno mi ha fatto conoscere questa realtà. Per me è stato impossibile non affezionarmi a questo luogo che, per quante contraddizioni ed elementi fuori dalle regole possa avere, mi sta insegnando tanto e mi ha fatto riflettere su pregiudizi e convinzioni che davo per certe e scontate fino a prima della mia partenza, che mi ha obbligato a mettermi in gioco e resa felice di stare a disposizione del prossimo, qualunque esso sia.
Le problematiche dei prigionieri sono svariate, e peggiorano se si considera il grado di libertà di cui godono i detenuti all’interno delle mura, che permette che assassini stiano a contatto e comunichino con narcotrafficanti, ladri ecc.. si va quindi da problemi di alcolismo e consumo di droga, il più comune e evidente appena si varca il portone del carcere, a drammi marcatamente psicologici come il senso di abbandono, di solitudine e di depressione che non raramente vengono espressi con ideazioni suicidi arie. In particolare vorrei però mettere in risalto la realtà drammatica dei bambini del San Pedro, che sono circa 250 dai 0 ai 15 anni e che vivono con i loro padri all’interno del carcere e ai quali è dedicato principalmente il mio servizio. Può sembrare assurdo, ma la presenza dei bambini all’interno del carcere porta con sé degli aspetti positivi: innanzitutto spesso sono proprio i bambini che fanno in modo di mantenere i legami con la famiglia all’esterno, contribuendo ad un possibile ricongiungimento del detenuto con la compagna o con il nucleo familiare; poi essi stessi rappresentano uno stimolo per i loro padri, che devono attivarsi nella ricerca di un lavoro all’interno della struttura carceraria, per poter dare ai figli qualcosa da mangiare e dei vestiti;come ultimo i bambini “umanizzano” il carcere, in quanto la loro presenza stimola un atteggiamento di cura e di attenzione verso il più debole, che fa dei detenuti non solo dei “criminali” ma degli esseri umani che riscoprono la loro paternità e la mettono in pratica.
In generale godono di molta libertà: a parte la perquisizione in entrata e in uscita, non sono soggetti ad alcun controllo, escono e rientrano come e quando vogliono, possono girare liberamente per il carcere.
Non essendo soggetti a particolari controlli, i bambini sono spesso usati come “corrieri” (dall’esterno all’interno e viceversa) di notizie, droga, denaro e quant’altro sia richiesto dal proprio genitore o da altri detenuti, in cambio di denaro, favori o beni di prima necessità. La situazione di questi bambini è pertanto molto grave: corrono rischi nel loro servizio di corrieri, a volte sono oggetto di gravi maltrattamenti, abusi fisici e psicologici, sia da parte del genitore che degli altri detenuti e non è infrequente che vengono abusati sessualmente. La polizia, ovviamente, non essendo presente all’interno del carcere, non può controllare che ciò non avvenga ed interviene solo quando tali fatti vengono denunciati. Molti di questi bambini sono abbandonati a se stessi, non sempre infatti hanno la fortuna di vivere accanto alla loro mamma all’interno del carcere, (molte donne abbandonano i mariti appena dopo la sentenza e scelgono di vivere al di fuori del penale magari con un nuovo compagno e si dimenticano dei figli). Questo si esprime nei bambini, che seguo personalmente, in una tremenda solitudine, in una silenziosa ma costante ricerca di affetto, di coccole e di abbracci . Manca in essi quasi totalmente il senso di autostima, hanno paura ad esprimersi, si sentono emarginati dagli altri ragazzini del quartiere e nelle scuole sono oggetto di insulti e discriminazioni. A volte magari alcuni a scuola proprio non ci vanno perché non hanno la cartella, o le scarpe o i soldi per prendersi l’uniforme e dei quaderni. Il loro modo di esprimersi è ben diverso dai ragazzini della loro età, hanno atteggiamenti violenti, da grandi, esperienze devastanti che racchiudono in piccoli corpi. Sanno attaccarti, fare a pugni, vengono picchiati dai più grandi o dagli stessi genitori, ma sanno sempre rialzarsi senza versare lacrime perché dimostrare debolezza in questo ambiente non va bene. Però ancora, nonostante tutto, sanno stupirsi, emozionarsi di fronte un giocattolo nuovo, un disegno, un cartone di Walt Disney, una carezza e in quel momento ho come l’impressione che si ricordano di essere bambini e si godono la loro rubata infanzia.
Con il fine di evitare il più possibile il contatto bambino-detenuto e per cercare di ricreare all’interno del carcere uno spazio protetto, dedicato solo ed esclusivamente al bambino, Padre Filippo Clementi, decise nel 2002 di aprire un centro di attività ludiche, educative e di laboratorio, nel quale si potesse ricreare un momento di incontro e di interazione sereno, e diverso dalla tragica routine. La fondazione di questo Centro Educativo, “Il Kinder” è stato un grande passo, una innovazione e assolutamente il primo esempio in Bolivia di una cura educativa indirizzata verso la popolazione infantile residente all’interno di un carcere. Presso il Kinder proponiamo ogni giorno differenti attività ludiche (giochi di gruppo, giochi didattici, ecc.) e di laboratorio (pittura, lavorazione di creta, pasta di sale, utilizzo di materiale riciclabile ecc.), uscite collettive in particolari occasioni, si organizzano spettacoli per bambini (con l’ingaggio di clowns, giocolieri o prestigiatori durante le festività) ed inoltre viene distribuita quotidianamente una sostanziosa merenda (visto che i bambini, come i loro padri, hanno diritto ad un solo pasto al giorno). Oltre all’importanza sul piano educativo che il Centro sicuramente riveste, la presenza costante dei volontari e del personale responsabile, rappresenta per i bambini una presenza che da’ loro calore umano e quella vicinanza emotiva che li fa sentire accettati, amati, oggetto di quell’attenzione affettuosa alla quale hanno diritto.
Questa pagina, scritta in maniera molto informale, forse non racconta una storia degna dell’interesse di un produttore del calibro di Brad Pitt o di un giornalista a caccia dello scoop dell’ultimo momento, forse infatti non è abbastanza schoccante, tuttavia è la mia esperienza di volontaria, in una realtà che esiste, che tocco con mano ogni giorno e che mi piacerebbe trasmettere a chi ha la curiosità di conoscere e voglia di dare voce a quella parte di umanità che è immersa nell’ingiustizia, nella solitudine, nell’indifferenza. Penso quindi e mi scuso se posso sembrare polemica che invece di focalizzare l’attenzione su quelle caratteristiche che fanno del San Pedro “il carcere più pazzo del mondo”, si potrebbe far conoscere anche l’altra faccia della medaglia, quelle storie di ordinaria ingiustizia alle quali forse potremmo cercare di approcciarci in punta dei piedi, senza giudicare, senza far notizia, accontentandoci di ascoltare, osservare e aiutare queste persone a sentirsi vive, amate e non dimenticate dalla società.

Vera

miércoles, 22 de abril de 2009

Profesor San Cosme


A veces te pasa que una de tus peores pesadillas se haga verdad,
se te choque en la cara…


Siempre has oído hablar de profesores que pegan a niños, pero nunca creías que te pudiera pasar a ti, que tuvieras que encontrarte en una situación tan fea, de escuchar niños contando que el profesor es malo porque les pega con una regla de madera y que les da cachetadas en las caras.
Y estos niños son tus niños, son niños de 6 añitos, que tienen una mirada tierna, que están asustados, que si les empieces hablar del profesor se les llenan los ojos de lagrimas, no te miran en la cara, hablan con voz baja porque tienen miedo que él se pudiera enterar, que te das cuenta que es su peor pesadilla.





Entonces tienes ganas de abrir el cajón y romperle la regla, hacérsela en trocitos, pero no puedes porque si haces algo así creas más problemas, a ti, a la asociación y sobre todo a tus niños.


Que si el se entera de algo podría pasar algo aún más feo, entonces intentas respirar, tranquilizarte, que el celebro empiece otra vez a funcionar, que se te baje el enfado; aunque es imposible, porque estas cosas no te las puedes olvidar, no puedes bajar del cerro y no seguir pensando en tus niños, en que el día siguiente estarán con él y quizá vendrán pegados porque no hicieron los deberes o porque, como cada niño de 6 años, se queda mirando fuera de la ventana soñando un juego nuevo o su mundo personal donde no haya profesores que le pegan.




Son en estos momentos que te sientes con las manos ligadas, que quizá estás luchando por algo más grande que vos, que a veces te sientes como el Quijote luchando contra los molinos a vientos, porque al final "es algo cultural, es costumbre" y algunos padres lo aceptan porque es "para corregirlos", para que crezcan, para que aprendan el respecto……Y EL RESPECTO DE LOS NINOS? Qué son algo menos solo porque chiquititos? No son personas? Son solo propiedades de los mayores?





Nunca hay que dejar el sueño de cambiar las cosas, las realidades, las costumbres feas….la única cosa es aprender como hacerlo sin crear demasiados daños colaterales a tus niños, a estos angelitos que tienen una de las miradas más tiernas que viste en tu vida, que con su sonrisa son capaces de cambiarte el día…






Carolina.

lunes, 30 de marzo de 2009

Shipibo


Dalla Plaza de Armas sali su una combi e un po'schiacciato,con la schiena al guidatore, in 5 minuti di viaggio arrivi li,li nel mezzo..tra la sierra e la selva.
El Cerro San Cristobal, colorato, alto, da cui si vede tutta Lima e Cantagallo, comunita' shipibo.
La sierra.
La selva.
Una strada e il fiume Rimac.
Ucayali-Rimac, Pucalpa-Lima. Da li arrivano le prime persone che si sono insediate in questo, che, dal 2002 e' un asientamento humano.
Asientamento Humano.
Rifletto sul secondo di questi termini quando salgo lungo una scala fatta di massi instabili per arrivare alla parte alta dell'asientamento, "el tercer piso", la parte piu' popolata della zona, dove pero'mancano tutti i servizi.
Rifletto sulla parola umano perche' camminiamo sopra a una discarica, ma noi ci camminiamo di visita, qui ci camminano tutti i giorni e mi fermo a guardare i piedi scalzi dei bambini, scalzi a scuola sopra il banco, scalzi nella strada davanti a casa.
E la mia macchina scatta, scatta, sento che e' un terzo occhio che non da' fastidio e inseguo un bambino che non arriva al mio ginocchio fino all'angolo quando il terreno inizia a scendere e li non c'é piu nulla oltre la sua casa, suppongo, un po' storta, in bilico, tra la terra dove camminiamo e il vuoto, si infila sotto una porta di tela e tac.
L'umano esiste, non nelle condizioni ma in questa gente. Esiste nei tratti shipibo a pochi minuti dal Palacio de Gobierno, esiste nella voglia di raccontare, di vivere con l'arte che imparan o da bambini attraverso una catena generazionale, orale e pratica, apprendendo le cose e imparando a saperle fare.
Gente che si muove con la voglia di cambiare, di migliorare, che pur spostandosi tiene le sue radici nelle mani, nei piedi, in tutto il corpo, persone che non vogliono smettere di parlare shipibo perché é la loro lingua, la loro identitá e chiedono di suonare, di ballare, dicendo che alla fine dei conti, gringos e shipibo, siam tutti uguali.
Siamo tutti uguali.
Non riescono a convincermi, passano le ore e sempre piu numerose le volte in cui mi chiedono il mio indirizzo mail, in cui mi chiedono di fare una foto con loro, se ho un numero di telefono e se ne ho uno in Italia per chiamarmi quando torneró.

Per fortuna dopo alcuni tentativi ha n capito che non parlo inglese. Che non mi va di parlarlo perché non é la mia lingua.
Questo si lo sento, che siamo diversi, che io lí mi sento diversa e che per quanto io creda profondamente nella condivisione delle diversitá e della sua ricchezza ci sono molti interrogativi a c ui non so rispondere e che nascono ogni qualvolta mi trovo a contatto con una realtá tanto lontana da quello a cui sono abituata. Ma tutto questo e' uno stimolo, che oggi mi ha dato forza e energia per proporre, ascoltare, cer care di far si che si possa sfruttare al massimo il meccanismo di dare-ricevere che sempre c'é anche se sottile ma quando é a a livello umano le cose si fanno piu naturali e basta un pó di tempo per ascoltarsi e incontrare insieme una soluzione che ci faccia realmente sentire uguali e capaci di plasmare, adattare, migliorare, far crescere noi e le cose.








Silvia.

26 Marzo 2009

In allegato il link all'articolo di nicolas lynch su La republica di giovedi 26 marzo

http://www.larepublica.pe/delito-de-opinion/26/03/2009/desvario-continuista

Condivido el texto y me parece describa muy bien el autoritarismo que sigue en el poder desde muchos años.Este autoritarismo tambien se refleja a niveles de poderes mas bajos y en otros aspectos de la sociedad peruana ..

Giorgio

martes, 3 de marzo de 2009

Mi experiencia en Lima

Llevo tres meses aquí en Lima y tendré que quedarme siete meses más!
Estoy trabajando en los Cerros de San Cosme (distrito de La Victoria) y de Amauta (distrito de El Agustino).
Los cerros son zonas marginales de Lima en los que viven casi 3 millones de personas, la mayoría de la población es originaria de la sierra, se movieron hacia Lima por dos motivaciones principales: la pobreza del campo, el sueño de encontrar un trabajo mejor en la ciudad, y la segunda es ligada a los eventos que pasaron en este país desde los años 80 hasta el 2000, en la época del Sendero Luminoso que constrigiò a muchos campesinos huir de sus pueblos perenemente atacados por sus operaciones de terrorismo.
En los cerros se encuentra la mayoría de la población que vive de la dicha economía informal, también los niños están involucrados en el trabajo. El trabajo infantil es visto como algo normal, como algo que los niños tienen que hacer para ayudar la familia en dificultades económicas.
El trabajo principal de los niños es quedarse en las calles vendiendo caramelos, bombones o limpiando las ventanillas de los coches. Otro trabajo desarrollado es ayudar los padres en los diferentes mercados, por ejemplo muchos niños de San Cosme trabajan en el mercado de La Parada, el mercado mayorista de Lima. Esto quiere decir que los niños muchas veces tienen que despertarse a las 4 de la madrugada, ir a trabajar y luego, si las fuerzas se lo permiten, ir a la escuela. Muchos de estos niños dejan la escuela a los 10- 12 años porque las familias les piden que se involucren más en el trabajo, para tener un mayor apoyo económico.
Entrar en los cerros es bastante difícil, hay un rechazo incondicionado de tu cuerpo hacia estos lugares. Las motivaciones son diferentes: desde el olor de basura, desagües a cielo libre, a la vista de perros medio enfermos, borrachos que hacen sus actividades corpóreas sin ningún problema, niños descalzos dejados a su destino en el medio de las calles, mujeres tiradas encima de una mesa totalmente borrachas. Aunque la imagen que se me presenta cada día es esta, hay algo que se mueve adentro, hay algo en el estomago que no me puede dejar quieta; me dan mucha tristeza estas imagines, me molestan, me hacen enfadar (porque no es justo que personas vivan en estas condiciones). Este enfado me hace olvidar el olor nauseante que hay, me hace cerrar los ojos un poquito y seguir por mi camino, porque si me quedaría con la primera impresión de los cerros ni entraría, ni me acercaría pero hay algo que me dice que tengo que estar allí, intentar sacar algo de bonito, de ayudar a esta gente a salir de esta situación de degrado, de abandono, de apatía.
Yo trabajo con los niños, y aunque parece algo lindo, bonito a veces se transforma en algo realmente difícil, cuando los niños te cuentan que los padres pegan a las madres y te miran como si estuvieran esperando de ti algo, una respuesta, un conforto, una solución quizá…tu te sientes vulnerable, incapaz de reaccionar e incapaz de encontrar una solución inmediata…te sientes inútil, te sientes que no estás haciendo nada, que tendrías que hacer el triple, que tendrías que ir a casa de estos niños y hablar con los padres; pero no lo puedes hacer porque no se trabaja así, porque no puedes entrar así de pecho en una situación familiar, porque eres gringa..Porque justamente tu quien coño eres para hablar???
Me pasó de ir a casa de algunos de mis niños porque me pidieron que los acompañaran para convencer las madres, las hermanas, los hermanos dejarlos venir a la ludoteca, entonces me encontré siguiendo a estos niños por callejos estrechos, sin luz, con basura y había gente que me miraba con cara que expresa de todo excepto de bienvenida.. y en estos momentos que te das cuenta que eres extranjera, que se te nota aunque tu intentes ser lo menos visible posible, que no todos te aceptan, que te puede pasar que un niño de 4 añitos te escupe en el brazo diciéndote GRINGA…y son cosas que te hace daño, que duelen pero luego miras a tus niños, a sus sonrisas y entiende que vale la pena sentirse gritar "gringa bonita, vente pa akà" o "gringa de mierda" o recibir algunos escupitajos. Porque la sonrisa de estos niños, verlos felices por unas horas sin tener miedo de ser pegados, sintiéndose respectados, queridos es algo que te llena el alma, que te da la fuerza para seguir luchando, para volver a entrar cada día en los cerros, para no hacerte afectar por el olor a basura mezclada con cualquier cosa.

Carolina.





viernes, 27 de febrero de 2009

“QOQSO MAKI ES ESTO, CADA UNO ELIGE”


Con queste parole Javier conclude la chiacchierata con Luis Alberto.
Siamo tutti e tre nel nostro ufficio, io, due educatori e il ragazzo. Abbiamo cercato questa conversazione perché sono più giorni che Luis Alberto arriva al dormitorio con chiari segni di aver inalato terokal. La norma in questi casi è che il ragazzo si faccia una doccia (fredda) e che dorma separato dagli altri, in uno stanzino più scomodo, chiamato l’ "almacen". Ma non basta. Chiaramente non bastano le sanzioni per vincere quella che è per molti è un’abitudine ben radicata. Il terokal è un tipo di colla, di solito si usa per le calzature, costa poco, dai 3 agli 8 soles il tarro. L’uso di questa sostanza è una realtà di tutti i ragazzi che in un modo o nell’altro vivono la strada.
Quasi sembra sia una tappa obbligata, i ragazzi più grandi invitano i più giovani a provarlo. In alcuni casi i ragazzi lavorano giusto le ore necessarie per comprarsi il loro tarrito. Il resto del tempo lo passano "volando", allucinando con gli effetti delle sostanze chimiche che compongono il terokal. Per di più "jalar", inalare terokal, dà una sensazione di sicurezza, molti lo usano per darsi il coraggio di rubacchiare, altri per non sentire la fame, altri ancora il freddo.
I motivi che spingono a provarlo sono diversi, ancora non credo di essere riuscita a capirli, ma è una esperienza che la maggioranza dei ragazzi vive almeno una volta nel mundo de la calle.
Qosqo maki a differenza di altri hogares non chiude le sue porte a chi fa uso di questa sostanza, le regole sono chiare e le conseguenze per chi viene "tekeado" pure. Ma non basta torno a dire. Per questo stasera ci siamo seduti con Luis Alberto a parlare, per capire, e perché lui per primo capisca cosa vuole.
La grande qualità e allo stesso tempo il grande limite di Qosqo maki è questo, è uno spazio libero in cui ognuno decide SE entrare, e COME approfittarne.
Dopo essersi alzati, aver fatto colazione (magari qualcuno pure una doccia anche se non è una delle pratiche più in voga) e aver svolto ognuno la propria parte nella pulizia dei diversi ambienti, tutti escono. Qualcuno lavora (cantando, lustrando zapatos, vendendo caramelle), altri rubacchiano, altri come Luis Alberto racimolano 2 soldi e si vanno a comprare il loro terokal. Sono i ragazzi che scelgono la loro opzione. Per qualunque tipo di necessità siamo a loro disposizione, sempre e quando sia una loro volontà.
E’ una filosofia di pensiero molto stimolante, si cerca di considerare ogni ragazzo o bambino come una persona in grado di prendere le decisioni che lo riguardano, però allo stesso tempo molto frustrante, i "risultati"del lavoro quotidiano non sono sempre palpabili.
Per i ragazzi di Qosqo maki è difficile pensare al futuro, fanno fatica ad immaginarsi tra qualche anno, non concepiscono l’idea di costruire qualcosa, preferiscono soddisfazioni immediate e a portata di mano. Abbiamo un bel da fare a proporre scuola, visite mediche, talleres de capacitación, alla fine son sempre loro, i nostri ragazzi, ad avere l’ultima parola, dipende da loro lo svilupparsi delle nostre proposte.
Sono loro che devono imparare a prendersi cura di loro stessi, visto che nessun altro lo fa.
Ognuno è libero di scegliere, e a noi non resta che parlare con loro, sperando che almeno qualcuna di quelle parole arrivi a toccare una corda sensibile, stimoli delle scelte che portino a migliorare la loro situazione, per poter immaginare un futuro diverso dalla strada.
Qosqo maki es esto, cada uno elige.

Cusco, 16 Febbraio 2009.


Carla.




martes, 24 de febrero de 2009

Cajamarca

Cajamarca è bella.
Le montagne troneggiano contro il sole all'alba. Ci sono mille chiese, grandi, imponenti, piccole, semplici e bianche. Ci son le campesine con le loro pollere dai mille colori fucsia, blu e rosso, con i loro bambini sporchi e felici appesi al collo.
C'è il cielo, Dio ilcielo è qualcosa di incredibile. Che ci sia il sole o la pioggia il cieloè sempre stupendo. Azzuro con enormi nubi; basse, enormi e bianche , bianche di latte.
Poi c'è la gente, sempre pronte ad un sorriso e con una storia allucinante da raccontarti.
Cajamarca è strana.
Si possono vedere jeep enormi sfrecciare al fianco di vacche campesine curve sotto il peso del raccolto e dell'oppressione.
Di notte si può vedere la luce della mina bruciare l'oscurità come un mostro che veglia e controlla e la città. Si può canare tutta la notte, sotto la pioggia amando gente che non si conosce.
Qui si può incontrare gente nata con il terorismo e cresciuta con la dittatura. Gente pazza, alcolizzata e gente che è stata torturata dalla polizia e ormai troppo abituata alla violenza.
Cajamarca fa male.
Si fa male sentirsi dire da una bambina che non andrà alle scuole medie perchè in famiglia non ci sono soldi o perchè suo fratello è in carcere.
Fa male vedere i bambini, i tuoi bambini venderti una bottiglia di vino alle cinque del mattino mentre qualcuno si prende a bottigliate.
Fa male quando scopri che la miniera asseta la gente per un sacco di riso.
Cajamarca ormai è casa mia.
Si mi ha ospitato per quattro mesi e mi ha coccolato come una nonna. Cajamarca mi ha fatto ridere e piangere, mi ha accudito questi mesi e lo farà per molti altri.
Cajamarca è semplicemente Cajamarca.

Andrea.

lunes, 16 de febrero de 2009

Niños libres

9 febbraio 2009

Giornata amara. Giornata da ammazzarli quei figli di cani, quei sequestratori di vite, quei meschini.

Giornata di polizia ignorante, giornata di sguardi e le mani che prudono.

Oggi la polizia non mi ha fatto entrare nell'albergue dove lavoro, perché do fastidio, perché parlo con i ragazzi dei diritti, di come difenderli e difendersi. Perché noi non parliamo di quanto è bravo e buono il padre eterno, ma guardiamo in faccia alla realtà, dura, che ha bisogno di ragazzi coscienti e forti per cambiarla.

E questo, a tutto ciò che è potere, polizia, non piace. Perché questa gente vive nel miedo, vive guardandosi le spalle. Dei ragazzi non gli importa nulla, se non che stiano lì reclusi senza motivo, così che gli diano lavoro.

Sono capaci di farti uscire dal cuore i peggiori istinti, che oggi se avessero aperto quella porta li avrei colpiti al volto, avrei incitato i bambini a scappare, via di qui. Liberi da ciò che è stato, liberi da ciò che è galera.

Di nuovo liberi di vivere la propria esistenza. Fuori da là, di nuovo dentro se stessi.

Niños libres.

Come mai, oggi mi sento parte della loro causa, mi sento che sto da una parte, senza essere un gringo ma semplicemente perché in quell'albergue ci sono degli amici, dei bambini che potrebbero essere i miei figli.

Davide

martes, 10 de febrero de 2009

¿DONDE ESTÁN TUS HERMANOS?

Mentre siamo in cammino verso Ate Vitarte, Lima si sveglia pigramente.
Tutto é come sempre, come ogni mattina dai chioschi pendono le prime pagine dei quotidiani e i cobradores urlano dalle combi
[1] il loro percorso, acrobati temerari nel traffico della capitale.
Nessuno sembra essere cosciente del momento storico che sta vivendo il paese: ci stiamo dirigendo verso la DINOES, centro militare, nel quartiere di Ate Vitarte, Lima, Perú. Qui sta volgendo al termine il processo all’ex presidente e dittatore Alberto Fujimori, iniziato piú di un anno fa.
L’accusa: crimini di lesa umanitá in quanto mandante intellettuale dei massacri della Cantuta e di Barrios Altos.
La Cantuta, universitá di Lima: alba del 18 luglio 1992, membri del Servizio di Intelligenza dell’Esercito irrompono nei dormitori e sequestrano nove studenti e un professore. Nessuno di loro é piú tornato. Un nome su tutti: Raída Condor. Madre coraggio, in lotta da vent’anni, ha visto i suoi capelli imbiancare giorno dopo giorno senza trovare un corpo su cui piangere. Ha saputo che Armando era tra quei nove studenti perché il mazzo di chiavi trovato nella fossa con altri resti umani, ha aperto la porta di casa sua. Posso solo intuire quanto le spalle di Raida si siano fatte pesanti in quell’istante. Voglia di chiudere gli occhi e riaprendoli trovarsi ovunque nel mondo ma non lì, non in quel momento.
Barrios Altos, quartiere di Lima: ore 22:30 del 3 novembre 1991, agenti del Servizio di Intelligenza dell’Esercito assassinano a colpi di pistola 15 persone durante una pollada, tipica festa con musica e grigliata organizzata tra vicini per raccogliere fondi. Un nome su tutti: Rosa Rojas, madre di Javier, 8 anni, ucciso con suo padre Manuel Isaías, 33 anni. 130 le pallottole trovate nel luogo del massacro; quattro i feriti, di cui uno condannato a trascorrere il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle, con varie pallottole nel corpo.
La lotta ha il volto di donna. Madri, sorelle, mogli.
La domanda imperativa, pronunciata per loro dall’avvocato Gamarra, a pochi passi da Fujimori : “­¿Donde están tus hermanos?” “Dove sono i tuoi fratelli?”.
Impassibile l’ex presidente, viso di pietra chinato sul foglio, sul tavolo una penna e due evidenziatori, scrive senza sosta. Cosa scrivi presidente? Nessun moto d’emozione, nemmeno quando Gamarra fa scorrere le foto delle vittime; né uno sguardo né un impercettibile movimento.
Tra il pubblico invece la commozione scorre palpabile e incontenibile: numerose le lacrime che scorrono sui volti coraggiosi di Raída, Rosa, Gisella, Pilar, Carmen, Norma.
Mani che si stringono, abbracci che consolano e che danno forza, carezze di chi prova il tuo stesso dolore. Senza veritá non ci sará giustizia. Presidente, ¿Donde están tus hermanos?
Frazione, porzione minima di una tragedia di tanti, sto avendo l’occasione di vivere da vicino; 69 mila le vittime fatali e i desparecidos in vent’anni di conflitto interno, qui in Perú, tra il 1980 e il 2000.
Numero infinitamente superiore ai desparecidos di Argentina e Chile messi insieme, eppure il mondo non sa, non conosce, ignora.
Un popolo in ostaggio tra due fuochi, l’esercito e le forze armate da un lato e l’organizzazione terroristica Sendero Luminoso-PCP Partito Comunista del Perú dall’altro.
Violenza selettiva, iniqua, mirata: il 40% delle vittime viveva nel dipartimento andino di Ayacucho, il 79% in zone rurali, il 75% parlava solo quechua
[2]; il conflitto ha esasperato le disuguaglianze etniche e culturali che ancora dividono il paese.
Un popolo che si accorge della tragedia solo quando la capitale ne é colpita, nel cuore della sua classe medio alta, come svegliandosi da un sogno.
Non tutte le vittime hanno lo stesso peso.
Non chiedono molto Raìda e Rosa, solo giustizia. Nessuna delle vittime di Cantuta e Barrios Altos era terrorista, ingiustamente sono stati strappati dai loro letti, ingiustamente sono stati torturati, ingiustamente i loro corpi sono stati bruciati, ingiustamente hanno sparato sui loro volti, ingiustamente le loro famiglie stanno soffrendo la loro assenza.
Le Forze Armate nell’affrontare le offensive dei gruppi terroristi, hanno ceduto a una pratica sistematica e indiscriminata di violazione dei diritti umani: esecuzioni extra giudiziali, sparizioni forzate, torture, massacri, violenze sessuali. Abuso di potere, rabbia cieca, necessità di colpire el mucchio, spesso con il benestare di gran parte della popolazione.
Armando e Javier non erano terroristi.
Momento storico quello che sta vivendo il Perú, quasi senza accorgersene; occasione incredibile la mia, essere presente qui ed ora.
Che le vittime trovino riposo, che le loro famiglie trovino pace, che il Perú faccia giustizia, che io possa tornare in Italia orgogliosa di esserci stata quel giorno in cui, in uno dei tanti paesi che siamo soliti chiamare in via di sviluppo, fu condannato un ex dittatore, e con lui il suo governo corrotto e violento.


Elisa.









[1] Tipico mezzo di trasporto.
[2] Lingua originaria delle Ande

viernes, 30 de enero de 2009

I progetti e le associazioni

L’ Associazione Solidarietà Paesi Emergenti ASPEm è un Organizzazione Non Governativa italiana. La sua attivitá di cooperazione iternazionale in Perú inizia nel 1987 nelle zone marginali di Lima Est intervenenendo nei settori piú vulnerabili della popolazione: infanzia e donne, fondando le proprie azioni nella difesa dei dirtitti umani, sviliuppo locale comunitario e cittadinanza attiva.

Negli anni, luoghi ed ambiti di intervento hanno visto una notevole estensione cosi come i contatti con altre ong, istituzioni e asociazioni tutt’ora parteners e presso le quali ognuno di noi presta il proprio servizio civile.

Di seguito i vari progetti:


Chiara, 26 anni.
Svolgo il mio servizio civile in ASPEm Lima.
Appoggio due progetti: "ASPEm comunicacion" e "Trabajando para el futuro: una nueva oportunidad de trabajo para la inclusión social de jóvenes y mujeres de Huaycán".
Nel primo mi occupo della coordinazione dei 2 giornali della ong "MI Tambo" e "¡Participa Huaycán!", appoggio l'aspetto "comunicativo" di ogni progetto che va dal montaggio di un video, interviste, gestione del registro audio-visivo, cosi come coordinare la produzione di magliette o altri gadgets..Nel secondo svolgo un attivitá piú di campo, nella Comunitá Urbana Autogestita di Huaycán nel distretto di Ate, Lima, appoggiando 2 gruppi di donne, "las tejedoras" (che lavorano ad uncinetto) e "las arpilleras" (tipico artigianato peruviano), nel difficile processo di inclusione sociale attraverso l’inclusione economica, per mezzo di una formazione sia tecnica che personale, laboratori sull’ economia solidale, participazione alle fiere equo-solidali.
Nella zona R collaboro con la popolazione, rappresentati locali,e tecnici esterni alla pianificazione di attivitá che sensibilizzino in merito alla questione ambientale e al rispetto dei luoghi pubblici, attraverso attivitá ludico-educative con i bambini della zona e sostegno dei comitati cittadini.



Silvia, 25 anni.
Svolgo il mio Servizio Civile presso Warmayllu Cajamarca.
Warmayllu è una Associazione che lavora con scuole rurali ed urbano marginali in Cajamarca, Lima, Andahuaylas e San Martin, promuovendo l'arte all'interno di esse come parte fondamentale di un'educazione e dialogo interculturale. L'Associazione incentiva inoltre l'investigazione e preservazione del patrimonio storico culturale per fortificare l'identità culturale dei bambini, giovani e popolazione in generale.
L’equipe di Warmayllu è composta da promotori che appoggiano, e non sostituiscono, i professori delle scuole. Nello specifico i promotori collaborano con i professori delle scuole iniziali, primarie e secondarie. L’appoggio ai professori viene svolto attraverso riunioni e differenti tipi di taller (tessuto, musica...)
Nello specifico a Cajamarca io lavoro con le scuole iniziali in sette diverse comunità rurali (dai 3.000 ai 4.000 metri di altura), per un progetto definito "Wiñaq Muhu".
Appoggio quindi i professori nel lavoro quotidiano in aula, cercando di diffondere ed includere in questo processo anche i genitori dei bambini.
Warmayllu, per diffondere il lavoro svolto, organizza inoltre expoferie attraverso l’aiuto dei professori, che vengono coinvolti direttamente per la preparazione delle manifestazioni.



Ciao sono Silvia, ho 25 anni e durante quest'anno come casco bianco lavoro a Warmayllu, Lima.
Warmayllu è una parola quechua che significa comunità di bambini.
Il lavoro che Warmayllu svolge è di appoggio e divulgazione di progetti, laboratori artistici per i bambini del livello iniziale e primaria considerando l'arte come mezzo per rafforzare le identità e metodo valido di crescita e sviluppo.
Il progetto in cui lavoro io,winaq muhu, è pensato per i bambini del livello iniziale.In questo mese,fino alla fine del prossimo sto lavorando a Pachacutec, Ventanilla, Callao, ad un laboratorio di pittura con i bambini seguendo il metodo Arno Stern che mi aveva affascinata molto prima della partenza per questo fantastico paese.
L'esperienza è fin'ora positiva, i bambini sono felici di dipingere e molto impegnati, è una soddisfazione vedere la voglia che hanno di giocare. In questi giorni con l'equipo Warmayllu stiamo facendo delle giornate formative ,oggi un laboratorio di musica,domani uno di danza.Sono esperienze molto interessanti e stimolanti che mi danno modo di vedere un modo diverso di lavorare in equipe come un tempo e un clima famigliare che si respira ogni giorno nelle cose che ognuno di noi fa in queste 8,9 ore di lavoro.
lascio in allegato il link del portale arteperu dove si possono trovare informazioni piu dettagliate.
http://www.arteperu.org.pe/html/warmayllu/formacion1.html



Carolina 26 anni.

Svolgo il mio servizio civile in ASPEm Lima appoggiando il progetto “promocíón del desarrollo integral de niños y niñas” nei cerros di San Cosme ( Distritto La Victoria) e Amauta ( Las Terrazas, Distrito El Agustino).
Tutti i pomeriggi dalle 3 alle 5 si creano spazi di svago per i bimbi dei cerros, seguendo vari moduli. ora si partirà dal modulo dell'autostima per arrivare in Luglio al modulo di Abuso Sessuale Infantile. Le tecniche utilizzate sono quelle del gioco, del cuentacuentos, titeres, giochi di ruolo. Si sta cercando anche di sviluppare un interesse nei bambini alla lettura e quindi elaborazione di attività ludiche all'interno della biblioteca del colegio di San Cosme.



Elisa, 27 anni.
Svolgo il mio servizio civile presso APRODEH Asociación Pro Derechos Humanos, Lima. L'organizzazione nasce neglia anni ottanta durante gli anni piú duri del conflitto interno (1980-2000) con l´ obiettivo di difendere i diritti umani palesemente violati durante il periodo di violenza; attualmente mantiene il suo impegno nella difesa dei diritti umani fondamentali, ampliando il suo raggio d'azione ai DESC, Diritti Economici Sociali e Culturali.
Come servizio civile sono integrante dell' équipo capacitación. Gli ambiti di intervento della mia équipe sono principalmente tre :organizzazione di talleres di formazione integrale in diritti umani rivolti a giovani lider di organizzazioni sociali di vario tipo (politiche, religiose, sociali, culturali,...); supporto e organizzazione di attivitá con i famigliari delle vittime del conflitto interno; organizzazione, gestione e coordinamento del processo di risarcimento collettivo, individuale e simbolico alle vittime del conflitto interno e loro famigliari.
Il mio impegno si dirige soprattutto alle prime due attivitá. Per quanto riguarda i talleres rivolti a giovani, si tratta di organizzarne tre all' anno (nord-sud-centro) della durata di cinque giorni ciascuno, occupandosi di tutto il processo di convocatoria, selezione, organizzazione, metodologia, contenuti, coordinamento, contatti....
Per quanto riguarda il supporto ai famigliari delle vittime del conflitto, ci si occupa di organizzare con loro attivitá culturali, ricreative, formative…nonché di supportarli nella loro costante lotta per ottenere giustizia (manifestazioni, marchas, sensibilizzazione, eventi simbolici....).


Francesco, 25 anni ancora per poco. Orgogliasamente residente del Quadraro, un quartiere della periferia romana di origine popolari ecombattenti.
Svolgo il mio servizio civile ad Arequipa nel progetto “Mujeres y Jóvenes microempresarior en la promoción del desarollo local”, un progetto di sviluppo economico e sociale rivolto agli impresari, in modo particoalre donne e giovani, del distretto di Paucarpata.
Il progetto è finzanziato dal ministero degli affari esteri e realiozzato da ASPEm in partneship con Cecycap, una ong locale nata come centro studio cristiano che ha lavorato in molteplici temi sociali, in particolar modo con gli impresari e nel tema dello sviluppo partecipativo nel distretto di Paucarpata.
Il progetto si compone di tre linee, uan riguardante la capacitazione tecnica, sia generale che specifica per mestiere, degli empresari. La seconda linea invece riguarda il credito è consiste nella possibilitá per gli impresari di ottenere dei crediti solidali, cioé dei crediti basati sulla solidarietá tra un gruppo di persone.
La terza linea si occupa promuove la partecipazione degli impresari negli spazi di contrattazione locale.
All’interno del progetto lavoro in appoggio alla linea 2 e mi occupo, principalmente, della promozione del programma di credito solidario e della gestione delle riunioni dei gruppi solidali.
Inoltre in rappresentanza di ASPEm partecipo al Colectivo de inclusión social, un collettivo che si occupa dei diritti umani e che nacque al fianco del lavoro della CDR, la commisione di veritá e riconcilazione che ha lavorato sugli anni di violenza vissuti in Perúi.Per il prossimo anno, con il colettivo, si lavorerá sul tema di conflitti sociali, in modo particvolare, sul tema dei conflitti lavorativi, promopvendo una serie d’incontri con le associazioni che alvorano nel tema e costruendo dei taller di sensibilizzazione ai diritti dei alvoratori da portare negli albergue e nelle scuole della cittá e della provincia.



Davide, 22 anni
Sto trascorrendo il mio anno di servizio civile presso una piccola associazione di Arequipa, Niños Libres, che si occupa di minori da 1 ai 17 anni incarcerati all'interno degli albergues della città per vari motivi: per piccoli furti, per violenze subite, per abbandono, per fuga dalla propria casa.
In particolare il mio lavoro si svolge in un albergue transitorio, gestito da un personale puramente appartenente alla polizia nazionale peruviana.
Un albergue transitorio è un non luogo, ovvero i bambini possono permanere fino a un massimo di tre mesi parcheggiati, nell'attesa della decisione di un giudice sul loro futuro. Nel frattempo non vanno a scuola, non sanno nulla del loro destino.. Insomma aspettano.
Il mio lavoro consiste nel proporre ai ragazzi internati in questi luoghi orrendi percorsi per tentare di ricostruire un'identità personale, perduta a causa delle violenze e delle situazioni che hanno vissuto e più in generale tentare di essere un appoggio anche nel ricongiungimento con le famiglie.
Altra parte del mio lavoro è un progetto di prevenzione del VIH-SIDA e delle malattie a trasmissione sessuale. Abbiamo costruito un taller che replichiamo nei vari albergue della città.
Come rappresentante di Niños Libres partecipo a un collettivo di giovani rappresentanti di alcune associazioni di Arequipa, cercando di elevare lo scontro a livello politico riguardo ai diritti violati in materia di lavoro , salute e detenzione carceraria.

Giorgio,27 anni
Collaboro con ASPEm a Tambo de Mora, dipartimento di Chincha, regione Ica.
Partecipo al progetto:“
Refuerzo de la Acción social y comunitaria para la reconstruccion de Tambo de Mora” .
Le mie attivita si dividono principalmente in due:
la mattina mi dedico insieme al magazziniere alla gestione del magazzino dei materiali in arrivo e da consegnare ai beneficiari del progetto.
Nel pomeriggio partecipo attivamente alla costruzione dei moduli in quincha mejorada che Aspem sta realizzando insieme ai beneficiari.


Carla, 26 anni
Sto svolgendo il mio servizio civile presso la Asociación Qosqo Maki, a Cusco.
L’associazione è nata più di 15 anni fa per rispondere all’esigenza di offrire un tetto a tutti i bambini e adolescenti che vivono e lavorano per le strade della città.
In questi anni l’associazione è andata cambiando e ora il servizio che offre va ben oltre quello di un semplice dormitorio, si cerca di dare un’attenzione più integrale possibile ai ragazzi che decidono di usufruirne.
I principi su cui si basa l’azione di Qosqo maki sono l’educazione in libertà e la cogestione. Il dormitorio è uno spazio gestito insieme ai ragazzi che ne fanno uso, sono loro che si occupano della pulizia quotidiana e delle diverse attività con il sostegno degli educatori, e attraverso un’assemblea settimanale possono decidere le norme della loro convivenza e il funzionamento dei loro spazi.
Qosqo maki è un dormitorio a cui si accede per libera scelta, non c’è nessuna costrizione e ogni ragazzo decide liberamente per quanto tempo fermarsi.
I ragazzi che lo frequentano hanno per la maggior parte tra i 12 e i 18 anni e lavorano per le strade della città, hanno occupazioni diverse, ci sono venditori di caramelle, lustrascarpe, cantanti e musicisti, cobradores, venditori di cartoline…
In particolare appoggio in un’area chiamata “Equipo de Seguimiento”, creata da poco con l’intento di rispondere prontamente alle necessità manifestate dai ragazzi, in particolare per quanto riguarda temi quali: salute, educazione, documentazione, acompañamiento laboral, reinserzione familiare, sostegno in caso di procedimenti giudiziari o detenzione presso la “comisaria de familias”.
Gestiamo inoltre l’informazione che è possibile ottenere dai ragazzi sulla loro storia personale attraverso l’elaborazione di “fichas personales”, e cerchiamo di recuperare per ognuno la documentazione basica così che al compiere 18 anni possano ottenere il proprio documento d’identità.



Salve a tutti, sono Andrea, o come dicono qui a Cuzco Andres, sono un casco bianco in servizio civile all’estero.
La scelta di partire era maturata già un anno fa, ma poi piccoli impedimenti han fatto slittare tutto a quest anno, sono qui dopo aver superato un colloquio con ASPEm, un ONG lombarda. Qui lavoro presso Yanapanakusun, sembra uno scioglilingua ma in realtà significa aiutiamoci in quechua. La Capo con la C maiuscola è Vittoria Savio, una donna forte piemontese che dopo anni di sforzi ha dato vita a tutto questo centro. Ora qui ci sono cinque progetti che spaziano dal turismo responsabile ad una radio e molto altro.
Io son entrato qui con il progetto “Creciendo Juntos”, progetto che richiede un lavoro nelle comunità andine. Inserito da subito nell’equipe che lavora nei distretti di Accha e Omacha, la distanza tra Cuzco e Accha è di circa 4 ore di bus, poi da Accha alla comunità più distante di Omacha ci sono 2 ore e mezza di moto e 1 ora di cammino. Si parte il lunedì mattina alle 4 per poi tornare a casa il venerdì sera alle 8 circa.
Il lavoro varia molto perchè si opera con i padri di famiglia, ma anche con i bambini, queste attività nascono per dare un maggior valore ai bambini che qui non sono certamente diversi dai nostri. Qui sta anche una parte che si occupa invece dei diritti dei campesinios e dei poteri che ha la comunità. Esiste infatti una costituzione che senza paura di dirlo è molto di stampo socialista, che concede appezzamenti di terreno molto simili tra loro a tutti i membri della comunità senza permettere che qualcuno ne possegga più di altri, purtroppo non tutti conoscono questo statuto obbligatorio. Quindi vario molto le mie attività, da quelle molto pratiche con i padri di famiglia o con i bimbi, ad incontri alle 5 di mattina con uomini e donne delle comunità. Questa settimana è partita pure una fase del progetto elaborata da me, si tratta di creare in quattro comunità dei gruppi di teatro con i bimbi, ovviamente tutto quello che si cerca di far apprendere è tramite il gioco, per terminare a settembre con la presentazioni di 4 opere teatrali su argomenti sociali. Gli argomenti saranno due uno riguarderà le problematiche sociali in comunità e l’altro tratterà il problema della migrazione dal campo alla città.
Per contattarmi senza problema su skype cyper82 o leggere qualcosa in più o per lasciarmi la mail sul mio blog: http://snideroandres.wordpress.com/ .Un abrazo a tutti.



Alice, 25 anni.
Sto svolgendo il servizio civile al MANTHOC (Movimiento niños adolescentes trabajadores hijos de obreros cristianos) e precisamente nella scuola di Ciudad de Dios a Lima.
L’ area in cui lavoro si chiama “soportes pedagogicos” : io e la mia collega , una volontaria tedesca, svolgiamo un servizio un po trasversale alla scuola.
In collaborazione con l equipe dei professori, ci si occupa dello sviluppo integrale dei NATs (niños adolescentes trabajadores) e quindi di tutto cio che concerne la loro crescita e formazione, con un attenzione particolare alla loro salute, ai loro diritti e ad una partecipazione attiva dei NATs per la promozione del loro protagonismo.
Nel concreto ci occupiamo di trovare risorsei per svolgere attivita con i NATs, campagne di salute, taller espressivi e soprattutto formativi, di collaborare con gli enti pubblici per la richiesta di documenti, di supportare le famiglie attraverso visite domiciliari e di accompagnarle nella richiesta di “partidas de nacimiento e DNI”, di collaborare con psicologi per l’ accompagnamento di alcuni bambini e ragazzi..etc..
Insomma un po tutto cio che riguarda la crescita integrale dei bambini e adolescenti della scuola.

Vera, 27 anni.
Sto svolgendo il mio servizio civile presso la Capellania Penitenciaria Arquidiocesana Nuestra Señora de La Paz, nel carcere di San Pedro, La Paz, Bolivia.
Il carcere di San Pedro rappresenta una realtà penitenziaria unica in Bolivia per la sua storia e gestione: è un carcere maschile, dove al suo interno non ci sono guardie, i detenuti si autogestiscono in tutto, e vige la regola che il più forte vince e a volte purtroppo questo avviene davvero senza alcuna esclusione di colpi. I carcerati possono girare liberi per la prigione, non vi è infatti per loro alcun vincolo di reclusione nella cella, sicché, narcotrafficanti, drogati e assassini si trovano assieme a condividere uno stesso spazio, situazione che ostacola più che aiutare un possibile recupero sociale del prigioniero e una maturazione della sua colpa.
In questo scenario sociale ad alto rischio, si trovano a vivere assieme ai loro genitori gli stessi figli dei detenuti. San Pedro conta quasi 250 bambini di un’età che va dai 0 ai 16 anni che quotidianamente dividono con i loro genitori non solo la cella ma la stessa vita da prigioniere; sono privati della libertà, della gioia di essere bambini, di un’educazione e formazione basilare e in alcuni casi dell’affetto stesso dei famigliari. Messi ai margini di una società che sembra essersi scordata di loro, quando escono per andare a scuola, subiscono discriminazioni ed emarginazione. All’interno della carcere la vita per loro non è certo più facile, sono stati segnalati casi di violenza, abuso sulle bambine, sfruttamento dei più piccoli come corrieri per la droga.
Per limitare il più possibile la relazione bambino-detenuto e per cercare di stare più vicini alle necessità di questi bambini, su iniziativa del Padre Capellano di San Pedro, Padre Filippo Clementi, si scelse di costruire uno spazio all’interno del carcere che fosse dedicato solo ai bambini, dove nemmeno i genitori ci potessero mettere piede, e cosi nacque il Kinder, dove ora io svolgo il mio servizio.
All’interno del Kinder si svolgono attività ludico-ricreative, attività di supporto scolastico, di accompagnamento e formazione, prevenzione alla violenza, rafforzamento dell’autostima. L’idea è quella di offrire al bambino, un punto di riferimento che sia a volte un po’ una figura amica, a volte un po’ più materna, dando un appoggio psicologico o di semplice compagnia e ascolto. In questo quadro si sta cercando all’interno del progetto di stimolare la comunicazione a volte totalmente assente tra bambino e resto della famiglia, rinsaldando i legami famigliari che a causa del vissuto di ciascun componente della famiglia, a volte si sono spezzati o sono stati persi.
La realtà del Kinder fornisce anche occasione di conoscenza della vita all’interno della prigione e del dramma che viene vissuto dai prigionieri, come per esempio possa essere la perdita della loro libertà e per alcuni della stessa dignità umana. Attraverso la distribuzione ai detenuti di piccoli incarichi legati alle attività del Kinder infatti si cerca di creare un’occasione di loro partecipazione e di responsabilizzazione, facendoli sentire valorizzati e favorendo cosi la comunicazione e la condivisione delle loro esperienze di vita, a volte dagli aspetti crudi e amari.

Elisabetta, 25 anni.
Sto svolgendo il mio Servizio Civile ad El Alto (La Paz, Bolivia) all'interno di una piccola ma affiatata ed operosa organizzazione di nome CASSA (Comunidad Andina Suma Satawi).Il mio ruolo va definendosi con l'aumentare della mia permanenza al suo interno. Da un mese sono responsabile dell'area progettuale legata all'artigianato ed in particolare a quella tessile con lana d'alpaca. Rivolgiamo a donne di El Alto un accompagnamento economico, gestionale ed operativo che va dalla formazione alla vendita fino, al termine di un processo in corso, al raggiungimento della loro autonomia come micro - imprenditrici. A tal proposito CASSA sta creando al proprio interno una micro - impresa che, rendendo espliciti e condivisi i passaggi del proprio sviluppo, diventi un potenziale esempio e uno stimolo per le artigiane coinvolte. Così, è stato recentemente creato un marchio che porta il nome di "Artesanìas Yuri", dove Yuri in lingua Aymara significa Origen, Nacimiento, Nuevo. A tale ideazione faranno seguito altri interventi legati all'immagine del gruppo come la creazione di un logo, la stampa di nuove etichette e di sacchetti per i prodotti, la scelta di una collezione per l'anno 2009 con l'introduzione di nuovi modelli, la stesura di un catalogo e, possibilmente, l'installazione di una pagina web. A livello commerciale si tenterà di rintracciare nuove occasioni di vendita tanto a livello nazionale che internazionale (fiere, feste, negozi), dando la priorità al comercio justo di cui Yuri segue i principi. All'interno del gruppo di artigiane si promuoverà la solidarietà, le si incentiverà attraverso dinamiche ad esporre le proprie opinioni, si tenterà di rafforzare l'identità del gruppo e di sviluppare la coscienza del loro lavoro, dei loro diritti e del loro ruolo. Infine, si motiveranno le produttrici alla costanza nella partecipazione e alla individuazione di una leader che possa far loro da coordinatrice e referente. All'interno di CASSA si cercherà di migliorare la parte gestionale legata al coordinamento, alla distribuzione dei compiti fra le artigiane, alla pianificazione delle vendite e della produzione. Si avvieranno anche questionari ed interviste tanto all'interno del gruppo di artigiane (per verificarne consapevolezze, critiche, motivazione, aspettative, disponibilità concreta) quanto tra i clienti e i potenziali clienti (sondando gusti, grado di soddisfazione, priorità).E' un lavoro che mi coinvolge in un settore che mi era sempre solo interessato come svago ed anche in attività che invece non erano mai state vicine alle mie passioni, soprattutto prefessionali. Mi motiva molto la causa (l'artigianato diventa occasione di emancipazione sociale ed economica per le donne), il grande affiatamento che mi lega al gruppo di lavoro ed alle produttrici e le forti emozioni che questa esperienza mi sta regalando.E' probabile che al mio impegno si aggiungeranno attività strada facendo, possibilmente anche di competenza socio - educativa, visto che CASSA sostiene divesrsi progetti di promozione di diritti umani e di educazione ambientale nelle zone dell'altipiano rivolti a donne, anziani, leader di comunità e, prossimamente, giovani.

Andrea,19 anni.
Svolgo il mio anno di servizio civile presso il MANTHOC, Movimiento di Nino y Adolescentes Trabajadores Hihos de Obreros Cristianos, di Cajamarca, Perù.
Lavoro nella scuola per bambini lavoratori gestita dal MANTHOC occupandomi del Suporte Pedagogico, cioè dell'alimentazione e della salute psicofisica dei bambini. Inoltre faccio viisite domiciliari alle famiglie dei bambini con problemi.
Questo durante la settimana, il sabato invece appoggio direttamente il Movimento seguendo un gruppo di bambini lavoratori organizzati.